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Avere un amico immaginario è un fenomeno molto comune, anzi, potrebbe essere definito universale, visto che è stato osservato in tutto il mondo, dall’Europa all’Asia, all’Africa, e nei bambini normodotati come nei casi di disabilità.

Innanzitutto, una grande creatività e socievolezza. È, inoltre, segno che il piccolo sta imparando a stare da solo, e, si sa, affrontare la solitudine è una tappa importante verso l’autonomia.

È talvolta, un espediente per evitare punizioni e poter mantenere una immagine buona di sé, senza negare del tutto la propria goffaggine.

L’amico immaginario è un buon modo per sviluppare capacità cognitive ed emotive complesse, perché saper riflettere sui propri vissuti, imparare che gli altri possono sentire o pensare o sapere cose diverse da sé, sono abilità che si sviluppano solo con il tempo e che però danno un grande impulso alle relazioni con gli altri. I bambini piccoli sono molto centrati su di sé, “egocentrici”, solo dai tre-quattro anni provano a mettersi nei panni degli altri, a sviluppare una “teoria della mente”, che comprende anche la consapevolezza di una bugia.

Ad esempio, un bambino di due anni osserva un libro, chiede ad un adulto spiegazioni su qualche figura, la indica bene, insiste, ma senza girare il libro, non esiste per lui un punto di vista differente dal proprio. Un bambino di sette anni non avrebbe alcuna esitazione, darebbe per scontata la necessità di vedere insieme quella figura.

I bambini piccoli crescono in fretta, mostrando nel giro di pochi mesi nuove abilità inaspettate, ed è ancora più sorprendente il fatto che le evidenzino in modo spontaneo e giocoso. È importante allora prestare attenzione, senza preoccupazione né ironia, alle caratteristiche che ciascuno attribuisce al proprio compagno di giochi, perché racconta molto del mondo interno, speciale e unico, del bambino. Inutile spiegare che non esiste, è reale quanto l’amicizia quale sentimento astratto, esiste come esiste la possibilità di un adulto di parlare tra sé e sé.

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